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Pietro Paolini (Lucca 1603-1681)
Giovane suonatore di chitarra
olio su tela; cm. 73x60
cornice in legno intagliato dipinto e dorato
 
 
Dall’attribuzione  a Caravaggio, dichiarata nel 1928 da Adolfo Venturi e della quale resta testimonianza nella perizia da questi vergata il 14 aprile 1928 sul retro di una sua fotografia in bianco e nero, il dipinto, ora di sua proprietà, è passato ad opera di Federico Zeri a quella in favore del pittore lucchese Pietro Paolini. Giudizio che mi sento di sostenere in toto. Nella Fototeca lasciata dallo studioso all’Università di Bologna, nell’incartamento relativo all’opera, oltre a tale parere attributivo, si conserva anche l’indicazione di quella che era al momento la collocazione del dipinto: una non meglio precisata collezione privata romana. Nella fotografia di corredo, la tela appare inserita entro la stessa, elegante cornice in legno intagliato, dipinto e parzialmente dorato, quasi certamente quella originaria; coeva, comunque, all’opera.
Nella primavera del 2021, il giovane musico è stato messo in vendita dalla Casa d’Aste Farsetti di Prato (Farsettiarte, asta 205-1, Importanti Dipinti Antichi, 14 maggio 2021, n. 53 di catalogo), indicato nella breve scheda di accompagnamento come ‘di ambito di Pietro Paolini’ e collocato cronologicamente a ‘dopo il 1650.’ A giustificazione della datazione al di là della metà del secolo dell’opera, e sulla base di questa assegnata quindi a uno dei tanti allievi che gravitavano intorno alla accademia di pittura da questi aperta proprio in questo torno di anni, viene specificato come l’uso dello strumento che il giovane protagonista è intento a suonare, erroneamente identificato in una ‘chitarra moderna’, si fosse diffuso a partire dalla metà del secolo. In realtà si tratta di una chitarra alla spagnola, detta anche chitarriglia, già in uso alla fine del Cinquecento e che aveva incontrato particolare fortuna presso gli ambienti più raffinati e colti in diversi paesi - in Italia, ad esempio presso la corte granducale fiorentina - e i numerosi consessi accademici, che, indirizzati verso diversi aspetti culturali, si andavano costituendo. Il principale motivo della rapida diffusione di tale strumento è da riconoscersi nel suo prestarsi ad assecondare il canto monodico, ossia ad una sola voce, parimenti in rapida diffusione negli stessi ambienti sopra ricordati.  Vale la pena di ricordare che Pietro Paolini, da riconoscersi nell’autore del dipinto qui in esame per i numerosi riscontri compositivo-stilistici che si possono istituire con altri ormai stabilmente inseriti nel suo corpus di opere, anche prima della trasferta romana, dove sarà accolto nella bottega di Angelo Caroselli, aveva avuto modo di conoscere questa forma musicale attraverso alcuni componenti della famiglia della madre, Ginevra Raffaelli, dediti allo studio e all’esercizio della musica. Pur in assenza di prove documentarie al riguardo, è anche altamente probabile che il giovane abbia avuto modo di ascoltare le rappresentazioni che con tali tipo di canto e accompagnamento venivano tenute a Lucca in ambienti profani e conventuali da alcune delle più celebri cantatrici dell’epoca. In primis, la fiorentina Francesca Caccini, la cui presenza in loco è documentata già nel 1619. Del resto, la sua propensione nel trattare temi nei quali la musica, intesa anche come essenza dello spirito, funge da protagonista, è ampiamente documentata nel corpus della sua produzione.
Secondo uno schema compositivo da questi  utilizzato anche altre volte ed evidentemente a lui congeniale, in quanto annullando la distanza tra il personaggio protagonista e lo spettatore, favorisce e la leggibilità e la comprensione del messaggio di cui il dipinto è caricato, un giovane suonatore si protende verso l’esterno, al di là di un semplice parapetto in pietra, superandone i limiti, soprattutto con il braccio con cui tiene lo parte superiore dello strumento, da cui pendono tre nastri rossi. Con la stessa volontà di comunicare, il giovane, in posizione non perfettamente frontale, con le labbra appena piegate in un sorriso, non esita a richiamare l’attenzione dello spettatore fissando su di lui il suo sguardo indagatore, con la precisa volontà di stabilire con lui un contatto diretto, ‘fisico.’ Le caratteristiche fisionomiche del volto, specie nella forma del naso leggermente aquilino, suggeriscono la possibilità che si tratti di un ritratto dal vero. Certo si tratta di un giovane di ceto altolocato come bene rivela il suo abbigliamento, con la giacca aderente e con le maniche rigonfie, eseguita con un raffinato tessuto nero percorso da righe bianche. Bianchi sono anche il colletto e i polsini arricciati che da questa fuoriescono, atti a rischiarare e il volto e le mani. L’uno specchio dell’anima, le altre lo ’strumento’ da cui trarre musica. Di tonalità scura il copricapo ornato da una piuma bianca fermata da una medaglia e che lascia scoperti parte dei capelli del giovane, di un caldo colore ramato. Del resto tutto il dipinto, sfondo compreso, è costruito secondo tonalità brunite che bene sottolineano il tono di pacata signorilità caratterizzante la scena.
A mio parere, l’esecuzione del dipinto è da porsi tra gli anni 1625-1630, pressoché all’inizio della sua lunga e proficua attività.
 
In fede, Patrizia Giusti Maccari

Pietro Paolini (Lucca 1603-1681) Giovane suonatore di chitarra

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